Come si facevano il pane e le friselle

Di Carmine Greco


Il pane era l’alimento base delle passate generazioni, fino a qualche decennio fa, prima che il consumismo invadesse la nostra società indirizzandola verso falsi valori, quando il prodotto era veramente il risultato della nostra fatica.

Le friselle (AkmVero)

Ma come si faceva il pane una volta?
Vediamo nei righi successivi il procedimento usato dalle nostre nonne per avere il pane: era usanza fare il pane ogni 15 giorni circa, considerato che quasi ogni famiglia possedeva una quantità di grano sufficiente a sfamare i vari componenti della stessa. Anche chi non possedeva un campo, acquistava il grano per approvvigionarsi di pane.

Il procedimento per fare le friselle e le pucce era abbastanza lungo, durava circa 7–8 ore, dalle ore 20:00 della sera fino alle 3:00 della notte, e richiedeva la stretta osservanza di alcune regole: il pane era un bene molto prezioso, quindi non si poteva sbagliare.

Prozimi
Di pomeriggio si preparava il prozimi (atsènato to prozìmi): si predisponevano un paio di kg di farina che si impastavano con acqua tiepida, lievito di birra e un po’ di prozimi del giorno precedente, conservato dal fornaio (o furnari) che lo dava a chi doveva fare il pane; si metteva in una scodella e si lasciava lievitare, avendo cura di coprirlo con un panno e mettendolo sotto le coperte del letto, specialmente in inverno.
Da tener presente che il lievito di birra poteva far lievitare il prozimi, tuttavia era usanza farsi dare un po’ di prozimi, residuo dell’infornata del giorno prima, dal fornaio.

Mentre il prozimi lievitava, si setacciava la farina nella mattra banca (circa 80–100 kg); poi, dopo un paio d’ore, quando ormai il prozimi era lievitato (nella padella cresceva e si diceva “atsise o prozimi”), si faceva una buca nella farina, una conca, come un piccolo cratere, e dentro si svuotava il prozimi.

Foto tratta da Spigolature Salentine

A questo punto si aggiungeva il resto del lievito di birra (circa 200–250 grammi) e si impastavano circa una decina di kg di farina per avere la seconda lievitazione. Si copriva questo secondo prozimi con la farina, si imprimeva col dito su di esso il segno della croce e si diceva “crisci santu”. Si chiudeva il coperchio della mattra banca e si lasciava lievitare.

La lievitazione era completata quando sulla superficie dell’impasto si creavano delle crepe, delle spaccature. Bisognava fare attenzione affinché dalle crepe non uscisse in maniera eccessiva la pasta lievitata: in questo caso si diceva che era avvenuto “lu criscimundu”, cioè si era inacidito l’impasto lievitato.

Successivamente si preparava dell’acqua tiepida nella quale veniva disciolto del sale (circa 2 kg), si creava una conca con tutta la farina, si versava dentro l’acqua tiepida affinché non si disperdesse e si amalgamava acqua e farina  insieme al secondo prozimi già lievitato. Dopo aver amalgamato il tutto, lo si poneva ad un lato della mattra banca, si portavano nello spazio libero una decina di chili di ... detto amalgama e si impastava sempre aggiungendo dell’acqua tiepida (non salata), fino ad ottenere della pasta omogenea, morbida e anche compatta, evitando di farla troppo molle. Questo impasto di circa dieci chili si chiamava piskùli. Si divideva in due e si inseriva in due ceste separate, affinché la lievitazione avvenisse in contemporanea. Quindi si procedeva ad impastare un nuovo piskùli.

Gli ultimi 10–15 kg della massa residua nella mattra banca si riservavano per per impastare le pucce, per le quali si richiedeva un procedimento diverso.

Foto tratta da Panificio Notaro
Quando le due ceste contenenti l’impasto per le friselle erano piene fino ai ¾ della loro capacità (l’impasto aumentava di volume con la lievitazione), si coprivano e si lasciavano per la lievitazione.
Mentre avveniva la lievitazione delle friselle si procedeva ad impastare le pucce: l’impasto veviva fatto più morbido con l’aggiunta di una quantità maggiore di acqua. Da tener presente che i 10–15 kg riservati alle pucce venivano impastati in quantità (piscùli) più piccole rispetto a quelle delle friselle. L’impasto per le pucce si metteva nel limbu.

Foto tratta da Spigolature Salentine

La lievitazione era completa quando, appoggiando il dito sulla superficie dell’impasto ed esercitando una lieve pressione, la pasta ritornava alla posizione iniziale senza che il dito lasciasse l’impronta. A questo punto, a lievitazione avvenuta, si portava l’impasto per le frise e per le pucce al forno. Il trasporto avveniva con un carretto trainato a mano (verso le ore tre della notte).

Il carretto di legno
Un ringraziamento speciale a Lina e Assunta Villani.

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